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DEBUT AT LA SCALA

Un ballo in maschera, 13 February 1975
Carreras as Riccardo in Un ballo in maschera, Milan 1975


Coppia spagnola per il "Ballo in maschera" alla Scala, Corriere della Sera, 13 February 1975
Caballè-Carreras trionfano nel Ballo di Verdi, Corriere della Sera, 15 February 1975
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Coppia spagnola per il "Ballo in maschera" alla Scala
Ettore Mo, Corriere della Sera, 13 February 1975
[English translation available here]

Dicono che pesi 90 chili. E' probabile. Dicono che la sua parentela
artistica bisogna ormai cercarla nell'angelico firmamento del passato,
fra le Malibran e le Pasta. E' vero. Dicono

Che, per amor dell'arte e nonostante la sua burrosa e placida
costituzione, sappia sfoderare, all'occasione, le unghie letali della
primadonna, E' verosimile.

Montserrat Caballè, 41 anni, è da qualche settimana la regina
incontrastata della Scala. Dopo aver letteralmente ubriacato il
pubblico e i critici in Norma di Bellini e con un recital di squillante
arie, stasera farà sua l'infelicità di Amelia, contesa fra il tenore Riccardo
e il baritono Renato, nel verdiano Ballo in Maschera, edizione Zeffirelli.

Anche il tenore che affronta il battesimo scaligero è spagnolo; come la
Caballè, è nato a Barcellona. Per un certo tempo hanno anche abitato
nella stessa calle. Si chiama José Carreras, 28 anni , un bel ragazzo
catalano, bruno e snello e una voce - dicono -che ricorda la squillante
gioventù di Di Stefano.

La Caballè se lo coccola con i suoi sguardi di velluto, maternamente: lo
trova più bello di Valentino. "Peccato - dice che i costumi non gli
rendano giustizia. Sono goffi, gonfi, orrendi. Al primo atto, quando lo
guardo mi sembra un astronauta. Sarebbe divino in un traje de luz .
Stasera comunque avremo un Ballo spagnolo: o meglio ancora , catalano.
Ecco nel mondo dell'opera, noi siamo il clan dei catalani. Proprio così.
Vero, José?"

Carreras è fortunato. Arriva alla Scala ancora giovane d'anni e di
carriera. La Caballè non ebbe tanta felice suerte . Vi mise piede la
prima volta nel 1970 con Lucrezia Borgia, dopo 13 anni di prezioso
praticantato altrove. Come si spiega ?

"Come si spiega ? - dice lei - Ma con la birra. Ecco vede agli inizi io
ho cantato in Germania e là le cose si capiscono sempre con un po' di
ritardo. I tedeschi dicono che la birra la si deve bere due volte per
sapere se è buona o cattiva. Evidentemente, quel tanto di voce che gli
avevo fatto sentire non era bastato. Hanno bisogno di un secondo
assaggio, e forse ci dovrò tornare. Facevo lo stesso repertorio che
faccio ora, solo con un po' più di Mozart e di Strauss."

"Un vero peccato signora Montserrat. Se fosse venuta in Italia, in
Italia ne basta una di birra"

"Invece no, sono contenta così. Se fossi venuta a cantare qui, mi sarei
rovinata. Sì, perché qui, se c'è una bella voce, la sfruttano troppo.
Canti, canti e canti finchè in gola non ti resta più che un rantolino.
Verdad?

Montserrat è riconoscente a Di Stefano , gli attribuisce la grande
svolta della sua carriera: "Pippo - dice - mi sentì la prima volta in
Messico, nel 64 se non sbaglio. Subito dopo parlò di me agli impresari
di Dallas e New York, il suo giudizio era prezioso. Di là partirono i
miei primi contratti, i grossi ingaggi internazionali. Devo molto anche
al maestro Siciliani che fu tra i primi a credere nella mia voce."

Da qualche anno ormai , tutti credono nella sua voce. I critici non
trovano più aggettivi solari per definirla, i tetri non trovano i
quattrini per ingaggiarla. Costa cara la Caballè.

Dire che vale tanto oro quanto pesa è sottovalutarla. Come artista è
esigente, c'è chi vede nei suoi furori repentini quelli mai scordati
della divina Callas.

" E così" [chiede il giornalista]

"Così cosa?" [risponde Caballè]

"Si è parlato ad esempio di uno scontro col maestro Molinari Pradelli
durante la prova generale di Norma"

Nega, con occhi freddissimi: "Scrivete invece che ho grande stima di
Molinari Pradelli e che ho fatto Norma a condizione che fosse lui a
dirigerla. Dirigerà anche il Ballo"

Ma una cosa ammette: non tollera la mediocrità. E' una vestale della
lirica, pronta all'olocausto. Nella pratica liturgica è casta e
severissima. Se n'è reso conto il pubblico sabato sera alla Scala,
quando, alle prime battute dell'opera ha fermato, con sacrale utorità, l
'orchestra. L'incidente è passato alla storia in almeno 5 versioni
diverse. Gliele raccontiamo.

"Tutte sbagliate - dice Monserrat Caballè - Quella giusta ve la racconto
io. Ecco: ad un certo punto ho visto nel palco reale - o ex reale - una
luce forte, giallastra, che mi abbagliava. Stavo concentrandomi per
Casta Diva e quell luce mi deconcentrava. Potevo anche vedere delle
persone,come sedute attorno ad un tavolo che giravano dei fogli e
parlavano. Forse erano gli addetti alle luci.. Insomma ,ho fatto ceno al
maestro . Glio ho detto : finchè quella luce non si spegne, finchè non
smettono di parlare, non possso andare avanti. Il maestro ha detto: "Oh,
mio Dio !" Poi il pubblico mi ha fatto un applauso e anche gli
orchestrali m'hanno applaudita; la luce gialla s'è spenta e abbiamo
ripreso."

Qualche apprensione nel passare stasera da Norma ad Amelia ?

Dice di sì: moltissima. "Io ho sempre paura di cantare. Siempre. Come
ho paura di prendere l'aereo. E' la paura di non essere all'altezza dell
situazione, di non dare il meglio. Fino a quando non cala il sipario i
miei poveri nervi sono in uno stato da fare pietà. Vero José ? Molto
dipende anche dai colleghi e ce ne sono di quelli che cercano di
fregarti, come no?"

Ma stasera non è il caso. C'è , tra gli altri, José Carreras di
Barcellona, del clan dei catalani.

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Caballè-Carreras trionfano nel Ballo di Verdi
Duilio Courir, Corriere della Sera, 15 February 1975
[English translation of the paragraph on Carreras' performance available here]

Il Ballo in maschera di Giuseppe Verdi è ritornato sulle scene scaligere
dopo due anni di assenza, nello stesso allestimento firmato da
Mongiardino ( scene di Renzo Mongiardino, costumi di Enrico Job) e
curato per la regia da Franco Zeffirelli., ma con una compagnia di
interpreti, salvo alcune non decisive eccezioni, completamente cambiata.

Il motivo primissimo di interesse della serata derivava dalla presenza,
nelle parti di protagonisti, dei due cantanti spagnoli oggi sicuramente
al vertice dei valori internazionali, di Montserrat Caballè (Amelia) e
di José Carreras (Riccardo).

Quest'ultimo, soprattutto, al suo debutto alla Scala, era
prevedibilmente atteso, misurandosi con uno dei personaggi più amati
della letteratura verdiana, con un'attenzione acuita dalla risonanza dei
suoi successi nei massimi teatri.

GRAN CLASSE

Occorre dire subito, che Carreras si è rivelato non solo un tenore di
straordinaria qualità, ma ciò che è più difficile, un autentico eroe
verdiano. La sua lettura è lirica, intensa e di una purezza nell'
emissione da ricordare quella insuperabile di Di Stefano, ma il suo
temperamento suggerisce una definizione drammatica raggiunta con una
musicalità che sbalordisce. Il fraseggio di Carreras è dotato di un
espressivismo che è un prodotto di natura e di stile e che chiarisce
interamente la drammaticità della parola verdiana, con una presa emotiva
interna che nel finale dell'opera ha raggiunto un equilibrio di bellezza
e di palpito interiorizzato semplicemente ammirevoli. Certo troviamo in
questo tenore una felicità di timbro, sostenuta da un impeto di
giovinezza che si afferma adesso con un grado di partecipazione
intrepida alla situazione drammatica di rapporto dei sentimenti che è il
vero tessuto dell'opera e che, in prospettiva, non gli esclude traguardi
più ambiziosi.

In Montserrat Caballè, questo tenore, ha avuto una partner della sua
stessa statura, della stessa scuola, e di una vocalità superba. Il
controllo del suono, la dizione perfettissima, l'allettamento
belcantistico messo al servizio, non del virtuosismo, ma della ragione
musicale, la dolcezza estatica dei pianissimi e della mezza voce, la
tessitura in grado di raggiungere ogni nota della partitura con una
precisione assoluta e sempre espressiva, fanno della voce della Caballè
uno strumento strepitoso, capace di introdurci nei territori esili della
musica. Le possibilità di questo soprano si sono chiarite, con tutta la
capacità di convinzione dello stile, in quell'aria del terzo atto.
"Morrò ma prima in grazia" fatta scivolare come un rabbrividente
sospiro. Non tralasceremo di dire davanti ad un soprano di classe
eccelsa , che ci sono zone nella partitura, l'infiammata passione del
duetto del secondo atto, dove l'interiorità verdiana, nella quale è
sempre avvertibile un residuo di realismo e di sentimenti creduti,
attenderebbe una definizione più appassionata di quella ottenuta l'altra
sera. Ma sicuramente il Ballo in maschera è l'opera di Verdi, dopo il
Don Carlos, più idonea agli incantesimi stilistici di questa
straordinaria interprete.

Il Ballo infatti è l'opera di Verdi nella quale si fa seriamente
sensibile un'ascendenza mozartiana, senza dimenticare peraltro, quel che
era passato in musica, dall'anno di grazia del Don Giovanni.

Nel grado della levigatezza e dell'eleganza, il Ballo è un'opera
insorpassabile nell'universo verdiano, anche se la sua comprensione
passa attraverso l'intensità dell'immediatezza espressiva e se l'opera
resta un dramma di anime e di sentimenti in prima persona.

Il vero problema interpretativo del Ballo è l'equilibrio tra le
soluzioni formali e l'aderenza realistica dei personaggi. E' una
questione di intenzioni sottili ed in essa riassume tutta la
problematica dell'evento interpretativo ed artistico, e dalla quale il
direttore Francesco Molinari Pradelli sembra completamente escludersi.

MECCANICITA'

Bisogna però dire alcune cose di Molinari. Egli non attraversa adesso
quello che si dice un periodo di forma, ma anche nei suoi giorni
migliori la sua direzione si fondava essenzialmente sull'effetto, sulla
sottolineatura dei valori immediatamente drammatici, sulle
sollecitazioni di un mestiere e che si sottraeva ai tentativi di
valorizzare la complessità dei fatti musicali. E' una questione di
temperamento certo, ma è anche un problema di circostanze storiche e di
un ambito di cultura dentro il quale uno si trova ad operare.

Non si può fare una colpa a Molinari Pradelli di testimoniare come può,
ed oggi lo fa malissimo, la propria formazione e l'idea del melodramma
che ne consegue, ma crediamo sia lecito domandarsi per quuale ragione un
uomo tanto lontano dall'interpretazione di una Caballè o di una Ruza
Baldani, che l'altra sera ricopriva la parte di Ulrica, viene chiamato a
dirigere un simile Ballo. La lettura di Molinari è meccanica,
bandistica, nei momenti più felici può essere, al massimo, realistica. L
'interpretazione dominante nel palcoscenico l'altra sera, dalla Caballè
a Carreras alla Baldani si qualificava per il grado di deliberazione e
di creatività stilistica.

Accostare due fatti mentalmente così lontani è un errore che l'altra
sera ha avuto modo di manifestarsi in tutta la sua misurae del quale
sono un poco tutti vittime. Non escluso lo stesso Molinari, messo a
confronto con situazioni che non riesce a dominare e che provocano
approssimazioni esecutive ed una insoffribile evidenza di difetti nel
tessuto interpretativo (ma che non giustificano minimamente l'insolenza
di certe reazioni da parte di alcuni spettatori che hanno apostrofato il
maestro prima dell'inizio dl secondo e del terzo atto)

Fra gli altri interpreti ricorderemo, prima di tutto, la franca e
convincente interpretazione del baritono Renato Bruson, nell'aria del
terzo atto, dopo un inizio incerto. Abbastanza positivamente la prova di
Margherita Guglielmi, quale Oscar, che non è il Cherubino mozartiano, ma
pur appartenendo alla categoria dei messaggeri, la sviluppa fino a farne
qualcosa di diverso nell'ultimo atto. Di notevole risalto, nel proprio
ambito, la coppia di congiurati di segnati da Federico Davià (Samuel) e
da Giovanni Foiani (Tom) e del tutto eccellente la prestazione del coro.

La regia di Zeffirelli è apparsa abbastanza discreta nel lasciare campo
agli eventi musicali, con l'eccezione dell'ultima scena, che non ha
saputo sciogliere visivamente il ritmo di morte, di passione e di
catarsi che si intrecciano indistricabilmente. Le scene di Renzo
Mongiardino puntano giustamente su una idealizzazione figurativa,
piuttosto che su una ricostruzione realistica d'ambiente.

La cronaca della serata dve registrare un vero trionfo per il giovane
tenore spagnolo e per Montserrat Caballè. Qualche mornorio dopo l'aria
di Ulrica, le invettive tutt'altro che eleganti rivolte al maestro,
fatto oggetto di dissensi anche alla fine, quando si è presentato a
ringraziare con gli altri interpreti e ,spazientito, se ne è andato
lasciando soli quelli che il pubblico voleva acclamare e non si è
stancato di applaudire lungamente: la Caballè e Carreras.

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